“La Ceramica” di Lucio Zaniboni

La parola ceramica deriva dal greco Keramos, ma le sue origini sono molto più antiche e risalgono al neolitico, età della pietra, ma forse ancor prima.
Entrare a contatto col mondo della ceramica, vuole dire ripercorrere secoli di storia di tutto, perché ha inizio dalla argilla (creta). Dio stesso, nella creazione, l’ha usata e col suo soffio ha dato vita spirituale all’impasto umano.
Chi colleziona ceramiche, una delle mie passioni, ha un campo infinito di ricerche e studio del cammino dell’umanità che si è avvalsa della creta per approntare angoli di fuoco, basi per cibi… in quanto questa materia, essiccando, tende a indurirsi; diventa compatta, quindi utilizzabile in un’infinità di modi.
Occuparsi di queste creazioni, vuole dire rivedere la vita umana dalle origini ai giorni nostri e scoprire come una materia così umile sia divenuta anche arte, bellezza, meraviglia.

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ceramiche cinesi

Si parte dalla vasta, inimitabile arte orientale (Cina e Giappone, India) in cui, oltre la lavorazione della creta, si è sviluppata quella delle pietre dure, dell’avorio e del corallo.

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ceramiche cinesi

In Cina la ceramica è stata prodotta forse mentre regnava la dinastia Tang (618-907), anche se già in precedenza, con la dinastia Han, c’era la produzione di porcellana dura grigiastra.

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ceramiche cinesi

L’Europa è venuta a conoscenza delle straordinarie creazioni orientali attraverso i viaggi dei grandi esploratori.
Merito primo del viaggiatore, scrittore, ambasciatore e mercante italiano veneziano Marco Polo, partito con il padre Nicolò e lo zio Matteo, con incarico del papa Gregorio X di portare un messaggio al Gran Khan Kublay. Il viaggio durò più di tre anni, ma gli permise una vasta conoscenza di usi, costumi e scoperte, anche poiché accolto benevolmente (1271). Nella sua opera “Il Milione” (derivato da Emilione con cui si definiva la famiglia) raccolse preziose informazioni, che generarono nuovi viaggi. Le nuove conoscenze influenzarono la vita e il costume in Europa. Polo come prima tappa arrivò in Terrasanta, poi a Bagdad, Samarcanda, Karakorum, Pechino, Costantinopoli, ampliando anche la conoscenza delle creazioni ceramiche cinesi.
Un altro viaggiatore, prima di lui Vasco da Gama, già nel 1498 aveva aperto la via marittima per le Indie, così da dare luogo alla fondazione della Compagnia Olandese delle Indie, ma fu solo nel Settecento che nacque in Europa la voglia di rendersi conto dei segreti di lavorazione della ceramica cinese, bianca, traslucida e compatta. L’arte cinese, derivata dalla manipolazione di argilla richiederebbe pagine e pagine, ma non è questo l’assunto e neppure di quella egizia, greca, etrusca e romana. Basterebbe entrare nei musei e soffermarsi ad ammirare le pitture vascolari, le sculture in terracotta, i bassorilievi, le statue… per rendersi conto di quanto si perda a non venire a contatto con quelle creazioni artistiche, cui la pittura ha aggiunto ulteriori armonie.Chi conosce i vasi greci o etruschi, con figure nera o rossa, sa di quali meraviglie parlo. Si possono solo ammirare, perché il collezionismo è praticamente vietato, in quanto i reperti sono patrimonio nazionale. Esiste qualche pezzo autorizzato, catalogato, senza possibilità di estradizione.
Come detto, nel Settecento dalle numerose importazioni di ceramiche orientali, nacque il desiderio di una produzione autonoma europea. Era necessario perciò scoprire il segreto della lavorazione cinese.
Dopo numerosi tentativi (si era tentato anche di arrivare alla fabbricazione dell’oro) nel 1710 a Dresda, Augusto il Forte, elettore di Sassonia, incaricò (o lo fece imprigionare) il chimico Johann Friedrich Böttger, di risolvere il mistero.

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vasi Sèvres e vasi napoleonici

Qualunque sia l’ipotesi vera, perché si parlò anche di rivelazione cinese, ovviamente a carattere di lucro, si riuscì a passare a un impasto di colore rosso e da qui alla vera porcellana bianca.
foto allegate all'articolo ceramiche_page-0008La terracotta viene ottenuta cuocendo l’argilla ad alte temperature, la porcellana cuocendo ceramica (composta da argilla, feldspati, sabbia silicia, ossidi di ferro, allumina e quarzo). La maiolica è una produzione ceramica a pasta porosa, ottenuta sciogliendo in acqua i minerali preparati. Sul risultato viene steso uno smalto bianco, a rendere impermeabilità.

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colonna e vaso impero Limoges

Dal 1710 in poi, in tutta Europa sorsero e fiorirono fornaci per produrre terracotte, ceramiche, maioliche e porcellane per usi funzionali, ma anche, e forse più, per vera e propria forma artistica. In Germania a Meisseu e Dresda. In Francia a Limoges (grazie ai giacimenti di caolino della zona), a Sèvres, con decorazioni e smalti in oro; a Parigi come Vieux Paris (in genere non firmata) e a Nevers. In Spagna a Madrid, Barcellona, Valenzia, Malaga e Coruña. In Austria a Vienna, dove divennero famose per le miniature a piccolo fuoco.

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ceramica Sèvres

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ceramiche Sèvres

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ceramica inglese

In inghilterra la prima produzione di ceramica risale al 1708 ad opera di artigiani tedeschi, al servizio del Re Giorgio I ed erano chiamate Bone China.

In Italia tramite Carlo Ginori si ha l’inizio in una villa di Doccia (1735 Comune di Pontassieve – Toscana) con una produzione che poco aveva da invidiare alla famosa tedesca.

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ceramiche Capodimonte

Altre fornaci a Deruta (Umbria) con produzione alterna. A Capodimonte (Napoli) per volontà del re Carlo di Borbone e Amalia di Sassonia, con l’aspirazione di raggiungere la fama di Meisseu.La produzione veniva fatta con forni a pietra e alimentazione con carbone coke.
A Caltagirone (Sicilia) a carattere presepiale di piccole statue della Sacra Famiglia e dei santi.
A Faenza con il desiderio di superare le fornaci di Nevers.
La ceramica è una materia che richiama un vero interesse per la storia dell’umanità che con l’intelligenza e il lavoro è riuscita (in una creazione a imitazione di quella divina) a trasformare un’umile materia (l’argilla) in forme artistiche meravigliose.

Lucio Zaniboni

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“Solitudine” di Rainer Maria Rilke

La solitudine è come la pioggia.
Si alza dal mare verso sera;
dalle pianure lontane, distanti,
sale verso il cielo a cui da sempre appartiene.
E proprio dal cielo ricade sulla città.

Piove quaggiù nelle ore crepuscolari,
allorché tutti i vicoli si volgono verso il mattino
e i corpi, che nulla hanno trovato,
delusi e affranti si lasciano l’un l’altro;
e persone che si odiano a vicenda
sono costrette a dormire insieme in un letto unico:

è allora che la solitudine scorre insieme ai fiumi.

Rainer Maria Rilke

Poesie (Torino, Einaudi-Gallimard 1994). Traduzione di Giacomo Cacciapaglia

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RAINER MARIA RILKE, Poeta boemo di lingua tedesca (Praga 1875 – Muzot, Svizzera, 1926). Indirizzato dal padre alla carriera delle armi, tradizionale nella famiglia, a 16 anni abbandonò l’accademia militare. Passando da Linz a Praga, di qui ancora a Monaco e a Berlino, fece studî irregolari. La certezza di una vocazione poetica gli venne a Monaco, dove fu nel 1896 e dove conobbe Lou Andreas-Salomé, di 14 anni più anziana, legandosi a lei in un singolare rapporto affettivo. Determinanti per lo sviluppo della sua personalità furono le esperienze di viaggio in Toscana (Florenzer Tagebuch, 1898) e soprattutto in Russia (1898 e 1899), dove fu ricevuto dal vecchio Tolstoj. La sensibilità per le arti figurative spinse R. a vivere per due anni (1900-02) a Worpswede, villaggio di artisti nei pressi di Brema, dove si unì in matrimonio di breve durata alla scultrice Clara Westhoff, allieva di Rodin. Dal 1903 R., che non aveva ancora avuto una stabile residenza, trovò a Parigi una specie di patria, e in Rodin un interlocutore privilegiato e un modello per la sua ricerca formale. Ma anche durante gli anni parigini continuò la serie dei suoi viaggi per tutta l’Europa e anche in Africa; tra l’altro a Roma (1903-04) e al castello di Duino presso Trieste (1911-12), dove fu ospite della principessa von Thurn und Taxis. Allo scoppio della guerra nel 1914, fu trattenuto in Germania, dove prestò servizio, a Monaco, in un ufficio di estrema retrovia. Finita la guerra, distrutto in Europa, dall’Austria alla Russia, il mondo in cui aveva posto fiducia, R. si stabilì, dopo un nuovo e più breve soggiorno a Parigi, nel piccolo castello alpino di Muzot, nel Vallese, ospite di un nuovo mecenate. Gli ultimi anni furono molto penosi, a causa del rapido declino fisico; morì di leucemia, all’età di 51 anni. ▭ R. fu narratore squisito (Am Leben hin, 1898; Zwei Prager Geschichten, 1899; Die Letzten, 1902) e si cimentò anche nel teatro, recependo suggestioni naturalistiche (Ohne Gegenwart, 1898; Das tägliche Leben, 1902). Ma fu soprattutto, o forse esclusivamente, un lirico, fra i più significativi e fra i più fortunati del secolo. Già le sue prime esperienze poetiche sono caratterizzate da musicalità malinconica (Leben und Lieder, 1894; Wegwarten, 1895-96; Larenopfer, 1896), tentativo anche di un ancoraggio alle tradizioni della città natale, che però, per lui di radice e cultura tedesca, non fu mai interamente sua. Traumgekrönt (1897) e Advent (1898) preludono a Mir zur Feier (1899), in cui per la prima volta emerge la tematica dell’angelo, centro di una religiosità sofferta e ben presto discosta da ogni confessionalità. È di quello stesso anno, anche se pubblicato solo nel 1906, il volumetto in prosa lirica Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke, serie di rapide impressioni su cui corre, con languore neoromantico, una struggente nostalgia di vita sospinta verso la meta di una prematura dissoluzione. Intanto nel 1902 uscì Das Buch der Bilder, raccolta di liriche di ricca suggestione figurativa, dettata dall’esperienza di Worpswede, e nel 1905 Das Stundenbuch, libro di meditazioni religiose, testimonianza di una sete di Dio ricercato sotto ogni forma e presso ogni creatura, primo capolavoro di R. per carica concettuale e per rigoglio stilistico. Nei Neue Gedichte (2 voll., 1907-08) R. assorbì la lezione di Rodin, affidandosi alla lirica per attingere quella che egli definiva “visibile inferiorità delle cose”, plastificando in un linguaggio di ricercata semplicità una sfera che di continuo sfiora l’ineffabile. Un momentaneo ritorno alla prosa si ebbe col romanzo Die Aufzeichnungen des Malte Laurids Brigge (1910), nel cui giovane protagonista, poeta e nobile, si riflette l’esasperata sensibilità fisica e spirituale dell’autore. Passarono varî anni prima che R. tornasse a pubblicare; ma quando lo fece, nel 1923, diede insieme, in una sintomatica polarizzazione, le sue prove più organicamente coordinate, le Duineser Elegien e Die Sonette an Orpheus. Le 10 Elegien, concepite e scritte, con ampî intermezzi, lungo l’arco di oltre 10 anni, ripropongono ed esaltano la tematica dell’angelo e, per suo tramite, una nuova mistica cosmica, che ignora Dio ma non il divino, pervasa da un’aspirazione non sempre tutta espressa ed esprimibile verso l’unità dell’essere germinale, tanto più urgente per quanto più funesta si è fatta, con gli sconvolgimenti intervenuti e con quelli incombenti, l’età presente. I Sonette, in integrazione e insieme in contrapposizione alle Elegien, cantano la gioia della contemplazione poetica in un’epoca impoetica, espressione di un simbolismo decadentistico giunto, nel momento stesso in cui si esalta, alla sua estenuazione. [ Treccani –Enciclopedia ]

 

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“Novembre” di Serena Rossi – a cura di Cipriano Gentilino

Ho letto con piacere e curiosità la nuova silloge NOVEMBRE ( Nulladie editore – 2024 ) della poetessa e artista visiva milanese Serena Rossi. Con il piacere di cercare corrispondenze tematiche tra suoi versi e la sua attività pittorico-visiva e con la curiosità di conoscere gli sviluppi artistico-emozionali dalla sua precedente silloge “Non serve la paura” (Nulladie editore -2022 ). La silloge, introdotta da Vincenzo Guarracino, è divisa in tre parti : In itinere, Civilmente, Nel tempo e si conclude con specifiche note biografiche dell’autrice che comunica il suo percorso in poesia e nelle arti visive.Tra queste emergono la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2011 e alla Biennale di Firenze nel 2023 nonché l’ultima silloge pubblicata Spazi 2022 Edizione Cosmopoli in lingua italiana e rumena e la fondazione del premio artistico-letterario “Vivi la realtà dentro e fuori” che è già arrivato, in Milano, alla sua terza edizione. Dalla lettura del suo “Novembre” emergono, a mio modo di vedere, alcuni elementi esistenziali-emotivi e altri di impatto visivo e grafico. Tante poesie hanno per titolo un “Senza Titolo” o “Inedito” come a comunicare la ricerca di una possibilità di comunicazione e la consapevolezza della transitorietà delle esperienze nella fugacità e nella rapidità del vivere e del vivere metropolitano.Con un linguaggio visivo si passa da un vissuto all’altro lungo un cammino che è intriso di una pervasiva emozione di fragilità del nostro attuale essere nel mondo.Un modo d’essere che Serena Rossi ci presenta attraverso flash di emozioni e parole spesso senza alcuna punteggiatura che spingono a fermarsi e rileggere, comunicando anche la necessità di trovare un tempo e un luogo per una consapevolezza interiore anche attraverso momenti di vissuti corporei che diventano metafora, talora di asprezza, talora di rifugio in un sé o in un noi drammaticamente fuso come in:

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Essere soglia.

Piatta memoria

E come statuina rotta scheggiata

Fragile. Manca un pezzo.

Inganno di cioccolata

Emicrania assicurata.

Essere soglia.

Pezzo del mondo

senza suono.

Alibi

Pillole per non pensare

Pillole per naufragare

I sogni.

Pillole per non sognare 

Nessuno.

I sogni. Nettuno con il forcone che ti assottiglia 

Chili per rimbalzare

Nel sogno.

Nettare di ciliegia

Scommessa mai presa,

erba mediterranea buona.

Ciglia allungate nere

Sottolinea la chiglia nel mare.

Catarsi

Catarsi.

E lento apro il mandarino, 

Sbuccio la buccia acida.

Impiastriccia la sera 

Della mia malinconia.

Non siamo soli

Siamo ombre e soglia.

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Cipriano Gentilino

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Il punto di vista – “L’esercizio della democrazia”– di Mariantonietta Valzano

lente ingrandimento

“Il punto di vista” di Mariantonietta Valzano

L’Italia è una Repubblica parlamentare in cui il Parlamento è il riferimento del popolo che ne elegge i membri, nell’esercizio del Governo in modo democratico. Quindi la democrazia è il perno con cui viene attuata la dialettica parlamentare e in conseguenza una dialettica democratica all’interno del Paese. Quello che a mio avviso non funziona più è il modo con cui si attua questa dialettica e di conseguenza l’esercizio della democrazia.
In un paese che si rispetti, che sia civile e sia comunque rispettoso dei diritti di tutti, si devono confrontare le idee, si devono proporre percorsi e progetti ma in modo costruttivo. In tal senso cosa ha valore? Sicuramente confrontarsi, senza scontro, ma con l’ascolto, sia in Parlamento che in piazza. Di conseguenza se all’interno delle forze parlamentari si hanno idee diverse, nell’agone politico (che oggi è costituito anche da situazioni mediatiche molto variegate, dai social ai media tradizionali) si possono e devono discutere, proporre e infine decidere. Se le decisioni sono prese e non sono condivise dal popolo, quest’ultimo ha la piazza per esprimersi, la piazza va ascoltata. Ovviamente tutte le bagarre, gli insulti, gli scontri fisici e le repressioni non sono contemplate. Ci sono regole da seguire? Certo.
Non potrò mai dimenticare un mio alunno all’inizio della mia carriera, trent’anni fa, che in occasione di uno “scontro” in Parlamento disse: “Maestra tu dici di non dire parolacce ma in Parlamento lo fanno”.
E questo purtroppo oggi c’è anche al di fuori del consesso principale, gli insulti alla Premier Meloni da parte del Governatore della Campania De Luca o il gesto ignobile e di offesa del ragazzo che mima la pistola verso Colei che è il Capo del Governo Italiano fa comprendere come non vi sia rispetto adeguato in ogni situazione e non dipende da una diversità   di vedute ma una azione di prevaricazione che non si comprende molto.  Questi sono solo due esempi ma ci sono tanti fatti rivolti verso esponenti di tutte le forze politiche che testimoniano un modo di confrontarsi non proprio “sereno”. Ma questa è democrazia?  Poi vi sono fatti ancora più gravi. Penso che nella memoria di ognuno di noi sia impresso ciò che è accaduto al G8 di Genova nel 2001 per cui la corte europea dei diritti dell’uomo ha detto che è stato violato l’art. 3 della Costituzione sul divieto di tortura, trattamenti inumani e degradanti.
Oggi è fresco ancora il ricordo delle “manganellate agli studenti” minorenni da parte di alcuni esponenti delle forze dell’ordine, di qualche tempo fa a Pisa. Questa è democrazia? Sono i rischi della democrazia alcuni dicono. Ma ci sono spesso nelle manifestazioni anche attacchi alle forze dell’ordine, ma è altresì vero che tutte le volte che si sono verificate sono stati perpetrati da gruppi di “incappucciati” o no che sono degli infiltrati all’interno della piazza. Bisogna forse cercare di evitare questo, dando la possibilità di esprimersi a tutti seguendo le regole. L’arroganza, la violenza e l’offesa non sono regole.
Non voglio neanche dimenticare un fatto che secondo me risulta grave. In una manifestazione di piazza una signora anziana davanti ad un poliziotto della celere dice: “Lo sa cosa ha detto il Presidente Mattarella?” Il poliziotto risponde: “Mattarella non è il mio Presidente”
Mi chiedo allora se non viva in un altro Paese, poiché una offesa del genere al Capo dello Stato da parte di un esponente delle forze dell’ordine che comunque deve rispettare egli stesso la Costituzione  e le leggi è un obbligo.
Ora … non sarà che noi italiani dovremmo familiarizzare un po’ meglio con gli obblighi ? e con il rispetto?
Forse non è sufficiente l’educazione civica nelle scuole se il tessuto sociale non si fonda su un sana modalità di confrontarsi, dove sia giusto rappresentare le proprie idee in modo civile.. e magari più costruttivo per tutti se solo venissero prese in considerazione?
Resto con tutti i miei punti interrogativi in attesa degli eventi.

Mariantonietta Valzano

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“Nella casa del vento” di Maria Rosaria Teni – recensione a cura di Patrizia Persico

È con un misto di emozione e gratitudine che propongo l’ottima recensione che mi è stata dedicata dalla Professoressa Patrizia Persico, una persona di grande sensibilità. Le sue riflessioni così profonde hanno reso l’intensità dell’intera raccolta e, attraverso un susseguirsi di interpretazioni che scavano le parole, si è giunti a percepire il senso intrinseco dei versi in essa contenuti. Un aspetto interessante su cui Patrizia si è soffermata, e che mi ha colpito particolarmente, è stato aver messo in luce le sensazioni diverse che scaturiscono dalla lettura delle poesie, soffermandosi sull’importanza delle esperienze vissute che sono state determinanti per la creazione dei versi. Un ringraziamento sincero a Patrizia Persico e alle sue riflessioni che contribuiscono a rendere vivo un testo poetico.

copertina NELLA CASA DEL VENTOHo letto il libro di poesie “Nella casa del vento” di Maria Rosaria Teni e, nel desiderio di esprimere le sensazioni suscitate dalla lettura, mi accingo nel compito di elaborare una mia personale interpretazione della silloge.
Come ha detto qualcuno prima di me: “Non so scrivere poesie, ma le riconosco quando le leggo”.
Tuttavia è compito assai arduo riuscire a rendere il giusto merito all’autrice, esprimere fedelmente, e soprattutto rispettosamente, tutte quelle emozioni che scaturiscono dalla sua lettura. Ho pensato di partire da una poesia, da quella che più mi ha colpito, ma non sono riuscita a scegliere: quella alla madre? quella alla figlia? quella al compagno di una vita? al padre, a Marta; non è possibile sceglierne una!
Ho centellinato i passi, ho dovuto procedere lentamente, soffermandomi su ogni singolo verso. No, mi correggo, su ogni singola parola, perché risulta incastrata là, proprio come un diamante in uno splendido castone. Il mio cuore ha avuto continui sussulti; in quei versi ci sono io, tu, chiunque sia un attento osservatore della vita e delle esperienze vissute, chiunque si emozioni per il mondo, la natura, i propri affetti.Ciascun verso mi ha toccato e commosso, portando a galla sensazioni diverse, dolore sopito in alcuni casi, grandi emozioni positive in altri, ansia per la caducità umana, speranza che la nostra forza possa salvarci.
Ci sono pensieri che scavano nella nostra anima e ci fanno riflettere, dando spazio ad una personale interpretazione, ad un adattamento alle proprie esperienze di vita e tutto questo rappresenta la magia che permette al lettore di indossare quei versi ché rappresentano il proprio habitus. Trovo che questa sia la vera chiave di tutte le liriche presenti, ossia farti sentire protagonista.
La suddivisione del libro in sette parti mette ordine ai temi trattati: il silenzio, il tempo, i ricordi, il mare, i sentimenti, il vento e la poesia, il mondo. Nessuno realmente slegato dagli altri perché è tenuto insieme dall’anima e dalle sue inquietudini.
Lo stile è scorrevole, intenso, talora lirico, talora narrato. L’ermetismo che pervade alcune poesie lascia spazio a quel libero adattamento del testo alle proprie esperienze di vita (come accennavo prima) e rinforza il turbamento. Gli aspetti metaforici esaltano la condizione dell’uomo che, nel mondo, nonostante tutto, resterà per sempre solo un piccolo fallace elemento della Natura che con essa deve fare i conti se non vuole restare schiacciato dai suoi stessi errori.
È proprio quella fragilità umana e la sua indeterminatezza, che da una parte vengono mostrate in tutta la loro caducità, dall’altra son pronte a dare la speranza che tutti si possa divenire uomini e donne risolti. E chiudo con una citazione autoriale che esplicita questa mia conclusione: RESPIRO LA BREZZA DI UNA NOVELLA ALBA.
Patrizia Persico

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“Laggiù, presso il Salice” di Antonio Teni

Una lirica che denota una  dignità di stile di incomparabile eleganza, volta all’ascolto di un’interiorità che si dibatte, inquieta, tra i sentieri dell’esistenza. Il poeta si affida a parole mute che, tuttavia pur nel loro silenzio, lo conducono ad una navigazione in un mare di suggestiva atmosfera sinestetica che raccoglie  il suo andare incerto. Preziosismi classici e rimandi letterari emozionano per l’ardente passione con cui esprimono sensazioni di eterna illusione mentre tra crepuscoli e aurore la vita si avvia verso la metaforica “valle di azzurri silenzi”. [Maria Rosaria Teni]

E poi camminerò verso il silenzio
delle parole…
Per le città ubertose di solitudini
dove i sogni dei reietti affogano nella babele di lingue,
che mai s’intenderanno.
E verso il silenzio delle parole
me ne andrò…
A cercare, come un figlio,
il mare e il suo profumo.
E la salsedine delle burrasche e
delle maree salirà
a invischiare le caravelle
del mio inesausto guardare.
Da davanzali e pazienti balaustre,
più in alto dell’albero maestro e oltre,
s’involerà lo sguardo
per scorger nuove terre.
Navigando verso il silenzio
degli uragani e delle parole.
Sulle rotte della notte,
verso il silenzio delle parole,
di me racconterò a un brillio
di stelle.
Ah la strada dei giorni,
quando scorrazzando erravo!
Monca di lazzi e batticuori,
da un pezzo, si tace.
Solo, nel mio farmi
muraglia di silenzio
alle speranze del cuore…
inultimente sbocciate.
Indifferente al distendersi delle colline
sul mare…
Il mare che sempre le isole del
mito offrì al veleggiar mio dolce!
E già mi stempero nel colore che
che scioglie i contorni delle cose.
E il bianco della tela
non più brama,oramai,
le forme e il paesaggio.
Sicuro, a passo svelto,
verso il silenzio delle parole!
Già mi profilo nell’iride ferrigna
del crepuscolo,
dove il fatato rinascere
dei sogni si perde nel paese
conosciuto ai tramonti e ignoto
ai risvegli.
Il tempo,
magico pifferaio,
suona la grave Pavane di Fauré
e presso il muto salice,
dove appesa è la cetra,
sull’acque verdi fluire vedo
Ofelia l’eterea.
D’erbe vestita e fiori,
che scorre silente
sull’acque…
Sparsi i lunghi ramati capelli,
tra giunghi e ninfee trascorre
silente, leggera.
Di Lei e del suo dolore,
della sua dolce follia,
chi più rammenta?
Ma gli arcobaleni nati dai suoi
capelli e i fiumi sorti dalle sue
bianche dita profondamente
ricordano…
Un po’ d’azzurro in questa triste
storia lieve come il profumo,
che parla di noi,
fragile umanità che sempre
ama sognare…
Lo so, che laggiù una valle di
azzurri silenzi m’attende:
silenzio fiorito di eteree parole!
Ma…oh bellezza del vivere
oltre il silenzio della strada!
Lontano gia s’ode, oltre i monti,
il vociar della luce…

Antonio Teni

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“Lettera da un bambino mai nato” di Myriam Ambrosini

Come avevo premesso a inizio marzo, al rinnovo della rubrica dedicata alle  donne, l’obiettivo precipuo della nostra rivista è quello di portare avanti riflessioni e approfondimenti relativi all’universo femminile, non relegando solo nel mese di marzo la condivisione di tematiche e argomentazioni volte a far conoscere il volto di tante donne.
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Tengo a sottolineare la permanenza della rubrica “A proposito di donne” che è aperta per tutto l’arco dell’anno, perché come ribadito in più occasioni, ogni giorno è opportuno parlare, condividere e far emergere situazioni nebulose che offendono la dignità non solo delle donne, ma di ogni essere umano. Interessante e di grande intensità  il racconto scritto dalla nostra collaboratrice Myriam Ambrosini; una commovente e imaginaria missiva  che tocca le più intime corde dell’animo, che proponiamo oggi ai nostri lettori.

LETTERA DA UN BAMBINO MAI NATO

Mamma … Avrei voluto vedere il cielo, il sole, le nuvole. Avrei voluto vedere il mare … Ho sentito il rumore delle sue onde quando ero ancora dentro di te.
Ma, soprattutto, avrei voluto vedere il tuo viso, mamma .
Quanto male quei colpi … Quelle spinte assassine a punta di coltello che spegnevano le nostre vite!
Non sentivo più il tuo cuore battere: ma IO c’ero ancora ed il mio cuoricino ha invece seguitato a battere e ti chiamavo …ti chiamavo, anche se non conoscevo ancora il tuo nome.
Ma l’AMORE non ha bisogno di nomi …
E l’odio, l’odio cieco invece di quell’uomo – che non riesco a chiamare padre – ha mille nomi … Egoismo, viltà, crudeltà ed anche paura … Paura di ciò che non si è capaci di essere e si uccide allora chi questo coraggio invece lo ha.

Mamma io seguito però a vivere con te e tu con me: un TUTT’UNO per sempre.
E forse quel cielo, quel sole e quelle nuvole li vedremo insieme.
Se un Dio pietoso ce lo permetterà, ci siederemo vicini sulla riva del mare ed ascolteremo, abbracciati, i sussurri delle onde e vedremo il triangolo dorato che formerà sull’acqua un sole che, per noi, non tramonterà mai …

MYRIAM AMBROSINI

* Dedicato a Giulia Tramontano ed a suo figlio Thiago.

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“Su Memoria Storica e Revisionismi” di Cipriano Gentilino

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La Festa della Liberazione, che celebra il 25 Aprile di ogni anno la fine dalla occupazione tedesca e di venti anni di dittatura fascista, ci induce non solo a festeggiare e commemorare l’anniversario perché sia ricordo e monito sociopolitico trans-generazionale ma anche a riflettere sui concetti di storia e memoria storica nonché su quelli dei vari revisionismi. Gli studi storici condotti a una distanza di tempo che permetta allo studioso una adeguata e scientificamente cercata imparzialità hanno un rapporto significativo sia con i documenti ufficiali e gli studi precedenti sia con quella che chiamiamo memoria storica. Quest’ultima non si basa solo su semplici ricordi, vissuti e testimonianze ma è il risultato complessivo di un processo molto ampio che coinvolge l’individuo, la sua memoria e le sue relazioni nella società. Si possono dunque distinguere una memoria personale e una costituita da elementi condivisi che possiamo chiamare collettiva. E siccome l’Io è tale solo se entra in rapporto con l’altro da sé, l’identità , definita attraverso le proprie esperienze, trova un senso coesivo e un significato esistenziale nella cultura, nelle tradizioni, nella storia. L’identità individuale si rapporta intimamente con quella collettiva creando così una appartenenza, un “essere con” che è la base strutturale per un patrimonio di conoscenze e di convivenze sociali condivise dal quale, in democrazia, poi ci si può dividere in sottogruppi sociali e politici che rispettino però l’identità basilare del modus costitutivo iniziale allo scopo di evitare sconvolgimenti e sconfinamenti politici ed ideologici. Nel nostro paese è fondamentale il rispetto della costituzione e della democrazia in un contesto di libertà individuale di formazione, informazione e amministrazione della res pubblica attraverso le autonomie e le indipendenze dei poteri legislativi, esecutivi e giudiziari. Un sistema, il nostro, nato dalla liberazione e dalla resistenza, che, per garantire la libertà di tutti, si basa su un equilibrio tra i poteri che è forte se è rispettato sempre e sempre difeso dalle tendenze alla pseudo-democrazia delle democrature. E questa ultima possibilità ci fa pensare che il semplice ricordo storico e la semplice commemorazione senza una consapevolezza partecipata alla espressione politica possono diventare un lasciapassare solo formale verso un futuro non rispettoso della nostra memoria personale e collettiva. Ricordi e commorazioni dovrebbero servire infatti ad attivare e riattivare le memorie perché queste restino direttive lungo le quali costruire un futuro condiviso pur adeguato, come la storia ci insegna, a nuove esigenze e prospettive. La memoria collettiva, infatti, non è granitica e non sempre, per la sua umana frangibilità, ci preserva automaticamente dall’evitare errori del passato. Per questo andrebbe trattata con cautela e sensibilità preservandola, anche per le future generazioni, dai c.d. revisionismi ideologici e politici. A tal proposito tali revisionismi andrebbero distinti da quello storico, pur essendo quest’ultimo un concetto che suscita ancora molti dibattiti accesi e controversie. Esso riguarda la reinterpretazione critica degli eventi storici, spesso mettendo in discussione le narrazioni tradizionali e cercando di svelare nuove prospettive. Si basa cioè sulla premessa che la storia non sia un insieme di fatti immutabili, ma piuttosto una costruzione soggetta a interpretazioni e revisioni. Chi lavora da storico alla revisione si pone l’obiettivo di esaminare gli eventi storici con uno sguardo critico, cercando di comprendere meglio le cause, gli effetti e le sfumature spesso trascurate, così come cercare nuove fonti e principalmente considerare i contesti sociali, politici e culturali. Il revisionismo politico e ideologico invece prende origine o dalla necessità di controllo politico della prassi come quello c.d. marxista esercitato dalla U.R.S.S. verso le scelte socialiste democratiche europee o dalla volontà di distorcere o negare eventi storici. L’esempio più eclatante è la spudorata negazione dell’Olocausto. Ma più pericolose per la oggettività storica sono le revisioni, principalmente quelle talora inapparenti, che alla fine forniscono il supporto per una lettura diversa degli avvenimenti. Basta infatti non citare cosa di nefasto ha preceduto, se non causato, una reazione nefasta o addirittura smilitarizzare la funzione di un battaglione, così… come fosse per caso. E allora vigilanza, partecipazione e resistenza diventano funzioni essenziali per la nostra democrazia, per tutte le demos-crazie.

Cipriano Gentilino

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“Il concetto di “piacere” in Epicuro: quale validità ha oggi?” di Gabriella Caprioli

Presentiamo oggi, all’interno della rubrica “L’Angolo della Filosofia”, una nuova ospite della nostra rivista, la Prof.ssa Gabriella Caprioli, cui va il nostro saluto di benvenuto. Autrice di un articolo molto interessante, ci conduce nel mondo filosofico dell’età ellenistica, analizzando il concetto di “piacere” e il ruolo che ha rivestito nella filosofia delle varie epoche.

Il concetto di “piacere” ha occupato un ruolo centrale nella filosofia delle varie epoche, ed è stato soggetto a diverse interpretazioni, a seconda del contesto storico e culturale di riferimento.
epicuroEpicuro, filosofo greco dell’antichità, nella sua concezione edonista considerava il piacere come lo scopo fondamentale dell’esistenza umana, intendendo lo stesso come una mescolanza di benessere  fisico, intellettuale e spirituale. Pur considerando la sua concezione etica fondata sui piaceri della vita, tuttavia il suo edonismo è da considerarsi sobrio ed austero, come la critica attuale è propensa a riconoscere, in quanto i piaceri da ricercare sono quelli naturali e moderati come il mangiare, il bere e il dormire con moderazione, senza eccessi, evitando quelli non naturali e non necessari come ricchezza, onori e gloria.
Ma come si può raggiungere la felicità? E che cosa si intende per “felicità” oggi?
“Non si è mai troppo vecchi o troppo giovani per essere felici. Uomo o donna, ricco o povero, ognuno può essere felice.A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l’età.
Ecco che da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l’avvenire.”  [1]
Considerando che l’animo umano è naturalmente inquieto, sempre alla ricerca di novità e spesso vittima delle passioni, le quali da Epicuro sono considerate come “malattie dell’anima”, per vivere bene si dovrebbe agire su di esse per attenuarle, come sostengono Platone ed Aristotele, o addirittura estirparle, come invece affermano gli Stoici. Il modo migliore per vivere una vita serena, secondo il filosofo greco, è quello di viverla in totale assenza di passioni, cioè praticando l’apatia, e l’unico rimedio per vivere bene è dunque la filosofia, intesa come medicina dell’anima. La finalità della filosofia consiste, infatti, nella conquista di un piacere catastematico cioè stabile e che si identifica con l’assenza di dolore fisico (aponia) e di turbamento dell’anima (atarassia).
Epicuro insegnava che la ricerca del piacere deve essere fondata sulla moderazione e guidata dalla saggezza, per evitare gli eccessi che portano l’essere umano alla sofferenza e lo lasciano poi ancora  più insoddisfatto di prima. Sono questi i cosiddetti “piaceri cinetici” legati al piacere corporale e alla soddisfazione dei sensi. Tito Lucrezio Caro, poeta latino del I secolo a. C., che riprende i temi principali della teoria epicurea,  definirà questo piacere come “voluptas”, inteso come  piacere erotico e prettamente materiale e, pertanto, ma non necessario al raggiungimento della felicità. Il piacere catastematico, invece, è durevole,  si basa sulla  capacità di sapersi accontentare, di godersi ogni momento della propria vita e di viverlo con intensità.
Oggi la parola “edonismo” ha acquisito un’accezione diversa, piuttosto negativa, molto legata  ad  un benessere frivolo, ad un piacere smodato raggiunto in assenza di doveri e di responsabilità, dove tutto è permesso in nome della ostentata libertà di “fare ciò che si vuole” e ciò che più  aggrada,  senza alcun limite a livello morale né etico.
A fronte di tale epocale cambiamento si è sviluppata una forte critica dell’edonismo contemporaneo da parte di alcuni studiosi e sociologi contemporanei, come Francesco Alberoni [2], attento studioso dei fenomeni di massa e dei rapporti amorosi. Nella società attuale si assiste sovente al fatto che la speculazione finanziaria, che privilegia investimenti e guadagni personali, sostituisce gli investimenti produttivi che invece dovrebbero essere finalizzati ad una maggiore occupazione e ad un benessere comune, come anche al fatto che i social, i videogiochi e le notizie sensazionali abbiano sostituito il piacere della lettura dei tradizionali libri custodi di valori e insegnamenti.
Nell’ambito dei rapporti sociali, nella moderna concezione dell’edonismo, ognuno è portato ad anteporre i  diritti ai doveri.  Anche in ambito affettivo e familiare, come anche   nei rapporti d’amore, il sesso fine a se stesso e  la cultura dello “sballo” vengono preferiti perchè evitano l’impegno di un rapporto responsabile necessario per la vita a due fondata sulla  la fatica di crescere dei figli con sacrificio e con molte rinunce personali.
L’ideale edonista nella società di oggi è una vita dedita al divertimento e priva di impegni, così come viene presentata dalle diverse trasmissioni trash e fondamentalmente  diseducative che vengono trasmesse a volte dalla tv e che raggiungono un vastissimo pubblico di giovani, creando una pressione sociale tale da  portare ad esagerazioni o distorsione della realtà.
L’edonismo contemporaneo, che si basa sulla ricerca smodata del piacere  a tutti costi, soprattutto nelle attuali nuove generazioni porta alla cultura dell’eccesso in cui il benessere dell’individuo coincide con la soddisfazione immediata dei suoi bisogni o quelli ritenuti tali.
Nella società edonistica di oggi, dove si cerca di sfuggire al passare del tempo e allo sfiorire della bellezza fisica, regna spesso un vuoto di valori, il nichilismo [3] che, inteso in  riferimento  alla concezione del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche,  designa “la presunta inarrestabile decadenza della cultura occidentale (…) e insieme la denuncia di questa decadenza e la distruzione teorica e pratica dei valori della tradizione”.1816319-lot80b-Kierkegaard
La  tensione verso il raggiungimento del piacere a tutti i costi spesso oggi  sacrifica il benessere di chi ci sta intorno e di chi è affettivamente legato a noi, e non di rado conduce  alla noia e, talvolta anche  alla disperazione, in quanto  manca la costruzione di significato nella vita, come già asseriva Søren Kierkegaard, il filosofo danese autore dell’opera “Aut-Aut”[4]
Oggi i tempi sono molto diversi dal passato ed il moderno concetto di “piacere” affonda le sue radici nell’attuale società globalizzata, dominata dalla realtà virtuale che porta alla coscienza di una verità distorta ed illusoria in cui domina il culto dell’apparire anziché dell’essere. Oggi si tende a vivere e sperimentare la cultura dell’eccesso promossa dai mass media e dai social media, che ha  un impatto preponderante in particolar modo sulla vita degli adolescenti attraverso la promozione di modelli ideali spesso irrealizzabili di bellezza e di successo facile, ottenuto senza sacrificio né fatica.  Soprattutto gli adolescenti, infatti, sentono forte la pressione per la propria inadeguatezza in una società fondata sull’apparire e vivono spesso una situazione di forte ansia di fronte alle sia pur quotidiane difficoltà della vita e avvertono, così, la propria inadeguatezza rispetto a queste aspettative, crescendo pieni di paure ed insicurezze.
Evidente è oggi la  dipendenza dai social di sempre più persone, con grandi guadagni da parte di chi li gestisce ma che sta portando soprattutto i ragazzi ad una esasperata e continua, quasi ossessiva ricerca dell’approvazione dei propri coetanei. E, in alcuni casi, sta creando dei mostri: si vedano gli attuali esempi di challengers, ossia adolescenti o bambini che si sfidano per  dimostrare a se stessi e agli altri di essere coraggiosi in situazioni rischiose, di misurarsi con i propri “limiti”. Queste sfide troppo spesso pericolose vengono ideate per cercare visibilità e, dunque, accettazione dal web tramite “like” e commenti. Inoltre ogni sfida online, anche quelle particolarmente violente, viene registrata e postata sui social e, proprio a causa del fatto che non hanno un contenuto ordinario,  diventano virali, raggiungono popolarità e rischiano di essere  emulati dai soggetti più fragili.Oggi la pressione tra pari gioca un ruolo importante: imitare e impressionare i propri amici sancisce o rinforza il senso di appartenenza ad un gruppo e non solo tra adolescenti.
La sovrabbondanza di informazioni, a volte non verificate e non veritiere come anche poco educative, influenzano negativamente i giovani che  assorbono tali notizie e le introiettano quasi senza rendersene conto, tale è il bombardamento delle stesse  su più fronti.
Crescono così i casi quotidiani di autolesionismo e depressione, causati da uno stato emotivo particolarmente fragile.
La cultura dell’eccesso  alimenta, a volte,  anche il cyberbullismo e l’intolleranza online con episodi di attacchi verbali e discriminazioni, che portano poi conseguenze negative sulla salute mentale di ciascuno.[5]
In sintesi, la società contemporanea vive una complessa relazione con il piacere immediato e ad ogni costo e la conseguente esasperazione dei comportamenti: trovare un equilibrio tra il piacere sano evitando gli eccessi, così come asseriva Epicuro già tanti secoli fa, rimane una sfida per molti adolescenti, ma sicuramente è la strada migliore da percorrere. Dunque, seppur lontano nel tempo, la concezione di Epicuro risulta oggi di grande attualità e validità. E la collaborazione tra famiglia e scuola  può aiutare i ragazzi a prendere consapevolezza di questi rischi per poi arrivare a  promuovere un utilizzo sano e bilanciato dei social per una migliore convivenza tra tecnologia e umanità.
Gabriella Caprioli

[1] Epicuro, Lettera a Meneceo (sulla felicità), III secolo a.C.
[2] Francesco Alberoni è stato un sociologo, giornalista, scrittore e accademico italiano (1929 – 2023)[3]da Enciclopedia Treccani, on line – Il nichilismo “per estensione, e al di fuori di contesti filosofici, il termine definisce in tono polemico atteggiamenti o comportamenti ritenuti rinunciatari oppure volti alla distruzione di qualsivoglia istituzione o sistema di valori esistente,  un disimpegno caratterizzato dalla mancanza di ideali e valori stabili  ed una continua ricerca del piacere fine a sé stesso e immediatamente raggiungibile”
[4] Sören Kierkegaard. Copenaghen 1813 – 1855. Filosofo e teologo, è considerato il padre dell’Esistenzialismo. Tra le sue opere più importanti ricordiamo l’opera Autaut (1843) basata sulle possibili scelte dell’individuo
[5] Save the children, Challenge o sfida social: cos’è e come proteggere i bambini, del 7 giugno 2023 (articolo on line)

Gabriella Caprioli, Docente di Filosofia e Storia presso il Liceo Scientifico “DE GIORGI” – Lecce  – attualmente in servizio. Laurea in Pedagogia all’Università di Lecce con 110 e lode. DIPLOMA DI SPECIALIZZAZIONE post lauream (biennale) in “DIDATTICA DELLA FILOSOFIA” (1500 ore) nell’anno accademico 2009-10 e 2010-11. DIPLOMA DI PERFEZIONAMENTO post lauream (annuale) in “Teoria e metodo delle tecnologie multimediali nella didattica degli insegnamenti umanistici” (1500 ore) – Università Del Salento (2009). VINCITRICE DI BORSA DI STUDIO per il Master in “innovazione educativa e didattica nell’insegnamento disciplinare di Filosofia e Storia” – Associazione Europea Degli Insegnanti – 2009. MASTER ANNUALE post lauream (annuale) con 60 CF in “Innovazione educativa e didattica dell’insegnamento disciplinare: Filosofia e Storia” nell’anno accademico 2009-2010.  Premiata con il Premio Internazionale per impegno programmi innovativi – Associazione Europea Degli Insegnanti e Centro Culturale Europeo “A. Moro” – ANNO 2009. Premiata con il Premio Internazionale per impegno programmi innovativi – Associazione Europea Degli Insegnanti e Centro Culturale Europeo “A. Moro” – ANNO 2010.  Premiata con il Premio Internazionale per impegno programmi innovativi – Associazione Europea Degli Insegnanti e Centro Culturale Europeo “A. Moro” – ANNO 2011. Menzione di merito al  Premio letterario nazionale Vitulivaria.  Autrice del libro “Dietro i veli dell’anima. Un libro per chi sa ascoltare”, Ed. Esperidi, 2019

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“Il Golfo dei Poeti: A spasso per Lerici, San Terenzo, Tellaro” – di Sara Bontempi– “Letture indipendenti – Segnalazioni”

golfocopertinaSegnaliamo l’uscita del libro
“Il Golfo dei Poeti: A spasso per Lerici, San Terenzo, Tellaro”
una guida con racconti e foto originali del luogo.

 “Il Golfo dei Poeti – A spasso per Lerici, San Terenzo, Tellaro” è un invito a immergersi nella magia di un angolo unico della Liguria.
Lerici, San Terenzo e Tellaro sono tesori nascosti lungo la costa del Golfo dei Poeti.
Le pagine di questo libro vi condurranno per mano attraverso vicoli acciottolati, porticati antichi e lungomari incantevoli.
Esplorando gli scorci panoramici che hanno ispirato le opere di poeti del calibro di Percy Bysshe Shelley e Lord Byron, avventurandosi in un viaggio che abbraccia la ricchezza culturale di queste terre bagnate dal mare Ligure.

Sinossi del libro Il Golfo dei Poeti – A spasso per Lerici, San Terenzo, Tellaro

Benvenuti nel cuore incantevole del Golfo dei Poeti, dove il mare azzurro si sposa con i pittoreschi borghi di Lerici, San Terenzo e Tellaro.
Questa guida è scritta con amore da chi chiama questo angolo di paradiso la propria casa, offrendo ai visitatori uno sguardo privilegiato e autentico.
Attraverso le pagine di questo libro, viaggerete per gli stretti carugi di Lerici, ammirando il castello che domina il paesaggio e le sue spiagge tranquille che invitano al relax.
San Terenzo, con la sua elegante passeggiata sul lungomare e la spiaggia dorata, vi accoglierà con il suo fascino senza tempo.
L’avventura continua a Tellaro, un borgo incastonato tra le rocce, dove il tempo sembra essersi fermato.
Scoprirete gli angoli segreti di queste località, i vicoli suggestivi e i percorsi panoramici per fare trekking sul Golfo.
IL GOLFO DEI POETILe foto scattate da Ruggero Morisco aggiungono un tocco di poesia visiva a ogni pagina, catturando la bellezza intrinseca di questo luogo magico.
Le sue immagini trasmettono l’anima e lo spirito del Golfo dei Poeti, trasportando i lettori in un viaggio visivo indimenticabile.
Se siete alla ricerca di una guida autentica e appassionata per esplorare il Golfo dei Poeti, questo libro vi condurrà in un viaggio coinvolgente, offrendovi una prospettiva locale che renderà la vostra visita un’esperienza indimenticabile.

Sara Bontempi, biografia dell’autrice
Sara Bontempi, nata in provincia di Varese nel 1979, attualmente vive in Liguria, nel Golfo dei Poeti.  Sposata con Ruggero, il fotografo del libro, con cui gestisce il travel blog Iris e Periplo Travel, dove condividono la loro passione per i viaggi.  Lavora come promoter editoriale, offrendo servizi e promozione ad autori e artisti.
Il suo racconto “Sugamo, la Tokyo dei pensionati” è stato scelto per la raccolta “Giappone Desire – Letture per innamorarsi del Sol Levante” (2023) pubblicato da Idrovolante Edizioni.
Un altro suo racconto è stato scelto e pubblicato nell’antologia Racconti Vol.3 Alcova Letteraria Quarta Edizione (2023).
Il bacio sulla fronte” (2023) è il suo primo romanzo, scritto con il cuore e i bei ricordi dei tempi andati.
Presente al Salone del Libro di Torino 2024 per il firmacopie del romanzo, presso lo stand della casa editrice.
Ha pubblicato il libro di ricette “Cucina senza frontiere: Viaggio gastronomico in versione senza glutine e senza lattosio” (2024) in self publishing.

“Il libro Golfo dei Poeti, a spasso per Lerici, San Terenzo, Tellaro”, scritto da Sara Bontempi con le foto di Ruggero Morisco, è un Independently published di Amazon.

Link d’acquisto: https://amzn.to/3SaiOhh

Letture indipendenti

 

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