I
Da lontano – il poeta prende la parola.
Le parole lo portano – lontano.
Per pianeti, sogni, segni… Per le traverse vie
dell’allusione. Tra il sì e il no il poeta,
anche spiccando il volo da un balcone
trova un appiglio. Giacché il suo
è passo di cometa. E negli sparsi anelli
della causalità è il suo nesso. Disperate –
voi che guardate il cielo! L’eclisse del poeta
non c’è sui calendari. Il poeta è quello
che imbroglia in tavola le carte,
che inganna i conti e ruba il peso.
Quello che interroga dal banco,
che sbaraglia Kant,
che sta nella bara di Bastiglie
come un albero nella sua bellezza…
È quello che non lascia tracce,
il treno a cui non uno arriva
in tempo…
Giacché il suo
è passo di cometa: brucia e non scalda,
cuoce e non matura – furto! scasso! –
tortuoso sentiero chiomato
ignoto a tutti i calendari…
II
Ci sono al mondo esseri superflui,
creature in più, aggiunte senza peso.
(Assenti dagli elenchi e dai prontuari,
inquilini dei pozzi più neri.)
Ci sono al mondo esseri cavi, esseri presi
a spinte, muti: letame
e chiodo per gli strascichi di seta.
Ripugnano anche al fango delle ruote.
Ci sono al mondo diafani, invisibili:
(screziati dal marchio della lebbra!)
Ci sono Giobbe, che potrebbero invidiare
Giobbe… ma ai poeti, a noi poeti,
noi paria e pari a Dio –
è dato, straripando dalle rive,
rotti gli argini, rubare
anche le vergini agli dèi.
III
Cieca e figliastra – che farò nel mondo
dei figli e dei vedenti? Dove la passione
arranca su scarpate di anatemi?
Dove chiamano pianto
il raffreddore?
Canora di corpo e di mestiere
cosa farò – afa in Siberia, neve nel Sahara! –
di tutte le lievi mie ossessioni
nel ponderoso regno
delle stadere?
Cosa farò – primogenito e cantore –
nel mondo dove il più nero è grigio,
dove tengono il cuore sottovetro?
Cosa farò, smisurata, nell’impero
delle misure?
Da Marina Cvetaeva, Dopo la Russia, a cura di Serena Vitale, Mondadori 1988

ph Eleonora Mello
Marina Ivanovna Cvetaeva ‹zv’itàivë›, poetessa russa (Mosca 1892 – Elabuga, Kazan´, 1941); A 16 anni Marina seguì corsi di letteratura francese antica alla Sorbona di Parigi. A 19 anni conobbe Sergej Efron e in breve tempo i due si sposarono. Dopo la rivoluzione d’Ottobre Efron si unì all’Armata Bianca, un esercito controrivoluzionario di sostenitori dello zar e Marina scrisse opere che ne esaltavano le gesta. Per questi motivi i due coniugi non erano ben visti dal regime stalinista e decisero di emigrare. Marina si trasferì a Parigi con i figli, pensando che il marito fosse scappato in Spagna. In realtà lui era stato arrestato e fucilato, ma lei non lo sapeva e quindi tornò a Mosca nel 1939 vivendo in una condizione di estrema povertà. Pur essendo stata l’esponente di maggior spicco del locale movimento simbolista, in contrapposizione con quello acmeista fondato dal marito di Anna Achmatova, che conobbe nel 1941, si ritrovò isolata dalla comunità letteraria e dopo breve tempo si impiccò in una casa di campagna. Le sue opere vennero riabilitate e pubblicate solo vent’anni dopo la sua morte. Raccolse in patria i suoi versi nel volume Iz dvuch knig (“Da due libri”, 1913), e altri ne pubblicò all’estero, essendo emigrata dopo la rivoluzione (Razluka “La separazione”; Car-devica “Zar-fanciulla”, 1922). Notevole la densità del suo linguaggio patetico-tragico, con predilezione per i ritmi spezzettati.
Pingback: “I Poeti” di Marina Cvetaeva – Alessandria today @ Web Media. Pier Carlo Lava