In una fredda sera di dicembre, mentre le luci natalizie si rincorrono e giocano a inventare il Natale, ho pensato che pubblicare il racconto di Maria Rosaria Vetrugno fosse motivo per indurre a riflettere e a considerare il grande valore che rivestono gli affetti cari nella vita di ciascuno di noi. Sono pensieri, frasi, le sue, che arrivano diritte al cuore ed evocano suggestioni di inusitata malinconia. L’autrice, attraverso una scrittura diaristica e introspettiva, ci conduce nella sua profonda interiorità e ci rende partecipi delle sue emozioni e delle esperienze forti che ha vissuto in un momento drammatico della sua vita. Scrivere si rivela, ancora una volta, un’ottima medicina: aiuta a liberarsi, a esplorare i propri angoli nascosti e a superare momenti di sofferenza e di depressione. Ma è anche uno stimolo per esplorare se stessi, permettendo di rielaborare le proprie esperienze in una narrazione coerente, aiuta a dare un senso e una direzione alla propria vita. [M.R.Teni]
Quel momento che hai temuto e visto con la mente in anteprima tante, tantissime volte negli ultimi giorni, è poi arrivato, è arrivato e passato e tu hai pensato, e ingenuamente creduto, di essere pronta, preparata, che avresti retto il colpo, perché era nell’aria, perché te lo aspettavi…E invece, dopo aver scalato la montagna del dolore, ora sei stesa in un letto, annientata da quel dolore stesso, nuovo, paragonabile a nessun altro, che ha tolto lo smalto a ogni cosa, che non ti fa sentire nulla e nulla ti rende importante…E questo ti fa incazzare, con te che non sei abbastanza forte, con lei che se n’è andata, portandosi via quella bellissima coperta calda e avvolgente che ti aderiva addosso, che era il tuo ruolo di figlia, lasciandoti nuda e al freddo. Tutto si è interrotto così, in un attimo, lasciandoti sospesa come quella goccia rimasta a mezz’aria nel tubicino della sua flebo…E ora vaghi, naufraga, su una zattera di legnetti in un mare di dolore, con la paura di non farcela. Come se non bastasse, è anche il tuo compleanno e per te è come mangiare a naso chiuso, come guardare il sole da un vetro scuro che non ne lascia intravedere lo splendore, come ballare senza poter sentire la musica, come indossare occhiali neri su tutto…su tutto. Passerà, dicono. Già, passerà, ma intanto bisogna raccogliere da terra il coraggio e reagire a questo strappo violento, a questo senso di abbandono mai provato prima. Nessuno te lo ha detto ma lo senti, sola ti senti, sola nel cosmo, con mille voci che ripetono: “Adesso tocca a te, adesso sei veramente grande, non sei più figlia, sei solo genitore, niente più parole che accarezzano, niente più ali protettrici, niente più riparo di sguardi indulgenti, gesti amorevoli, confessionali discreti aperti h24…niente”. Sgomento, solo sgomento. Sospesa, sospesa nel cosmo, ecco come mi sento, lanciata nel vuoto…e senza paracadute. Una pianta, una pianta cui hanno strappato le radici, le tue radici, ecco come mi sento. Una che non ha più chiavi di casa perché non ha più una casa, quella in cui sei nata, con quell’odore inconfondibile che non sentirai più da nessun’altra parte, quella in cui il silenzio parla e a parlare sono gli oggetti, si, e ognuno racconta una storia, un pezzo della tua vita…in quella casa…quando in quella casa c’era ancora la vita…Derubata mi sento, ecco come mi sento, derubata della parte migliore, quella contro cui hai fatto le tue guerre di adolescente, quella con cui sei entrata in conflitto, quella che hai stupidamente sfidato più volte e con caparbietà in età giovanile, in un braccio di ferro altrettanto stupido perché inutile, superfluo, per poi ritrovare tutto, a distanza di tempo, convertito in amore infinito e tenerezza che non si può spiegare, più grande di te, di tutto. Sola mi sento, ecco come mi sento, sola con insicurezze e paure, la paura della tua insicurezza e della solitudine, in un circuito chiuso, come un cane che si morde la coda. Nella struttura, che è stata un po’ la sua famiglia per sei anni, ognuno aveva un numero, il suo era il numero 11 e forse là dentro, chissà, era davvero solo un numero a cui corrispondeva un nome, il suo, un ospite come tanti… Un puntino luminoso attraverso il cristallo dell’auto, davanti a me. “È Marte” – sento dire. Ah sì, penso…e io che per un attimo ho immaginato, sognato, sperato fosse lei, lei con la sua luminosa presenza, che mi sta di fronte, a testimoniare che c’è ed è lì per me, in grado di sentirli i miei pensieri. Non ha occhiali né mani nodose ma è lì, non ha occhi scavati né capelli bianchi ma è lei, un puntino piccolissimo ma immensamente luminoso ed è lì che mi sta di fronte, poco più su del parabrezza, tra gli schizzi di pioggia del tergicristallo. È solo Marte ma io voglio credere sia lei, infinitamente piccolo ma luminosissima presenza, lì per me, anche se molto, molto più importante perché in fondo Marte è solo un pianeta mentre lei è una stella, la mia Stella numero 11.
Maria Rosaria Vetrugno