“La campana non suonata” di Cristian Bonomi


È stato attraverso una mail che ho avuto occasione di conoscere Cristian Bonomi, un giovane ricercatore di archivistica, genealogie e storia d’impresa, amante della poesia, sensibile, dalla penna raffinata e a tratti nostalgica, ma soprattutto appassionata delle proprie radici. Sono diversi ormai gli autori che scrivono alla redazione, inviando i propri scritti, desiderosi di condividere con questo modesto angolo di cultura che ho voluto fortemente ritagliare nel mio quotidiano, fiduciosi  (e questo mi rende felice) nell’affidarmi le loro emozioni, i  pensieri più profondi, le  considerazioni e perché no, anche i propri sogni. Dunque ho letto con molta attenzione e rispetto, come sempre nei confronti di chi mi scrive, l’utlima raccolta di Bonomi “La campana non suonata”, 2016, Lulu.com. e ho ritrovato un mondo soffuso, un passato che rivive attraverso un verseggiare ricercato e raffinato, un uso sapiente delle parole che lasciano trasparire l’amore per la propria terra, adagiata   sulla riva di Vaprio d’Adda. Un territorio che io ho conosciuto sin dall’infanzia, durante il mio soggiorno in Lombardia e a cui sono ancora affezionata. Il brumoso paesaggio e il lento passeggiare sugli argini dell’Adda, le cascine operose e confortanti sprigionanti aromi indimenticati e ricchi di mille sapori, un insieme di sfumati ricordi che ho ripercorso nella lettura di questa raccolta. Ho estrapolato due liriche, ripromettendo a me stessa di porne in risalto altre durante i nostri appuntamenti con gli autori”. [ M.R.Teni]

II

Bevvi prima della vigna
e il fuoco era di luna quando i tralci si arresero.
Cercarti ti perse
all’ormeggio del noi.

Numeroso piove il tuo volto
e di tremule ninfee
si fa lo sperare: richiama gli addii,
dormano come lupi davanti al nostro insieme.

Del tuo ritorno ogni attimo è prua.
Bussa la pioggia con mani d’amante,
si dispera sui gradini.

Io sciolgo i sandali al tempo
infinitamente per guardarti
con carezze di cieco.

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ph eleonora Mello

IV

Passi di cervo aveva il pensarti
e sete di cascata;
amai ad usura se dare fu chiedere.

Vissero un alito i nomi sul vetro.
Stanchi ciascuno
di non essere l’altro,
pane spezziamo che non si moltiplica.
Scorda, moneta, le nostre facce
se essere ruba chi siamo.

Asciugata la tempesta,
gocciola ancora il tuo nome dai remi.

Io solo sono solo io.