“Il cielo della memoria” di Marcel Proust

Tutto cancella il tempo come l’onda cancella
i giochi dei fanciulli sulla sabbia spianata.
Dimenticheremo le vaghe, le precise parole
che schermavano, tutte, un poco d’infinito.

Tutto il tempo cancella, ma non offusca gli occhi,
sia chiari come l’acqua o d’opale o di stella.
Belli come nel cielo o dentro un lapidario,
brilleranno per noi d’un fuoco triste e gaio.

Gli uni, a un vivente scrigno trafugati gioielli,
duri raggi di pietra mi getteranno in cuore,
come quando nella palpebra conflitti, sigillati,
lucevano d’un raro, illusorio splendore.

Ad altri dolci fuochi da Prometeo rapiti
la scintilla d’amore che in esso palpitava
per soave tormento abbiam portato via,
gioie troppo preziose o luci troppo pure.

Il cielo della mia memoria costellate in eterno,
inestinguibili occhi delle donne che ho amate !
Sognate come morti, brillate come glorie,
scintillerà il mio cuore come a maggio la notte.

Simile a una nebbia d’oblio cancella i volti,
i gesti che altra volta adorammo al divino,
che ci resero folli, che ci resero saggi,
grazie di perdizione, e simboli di fede.

Tutto cancella il tempo, le sere confidenti,
le mani ch’io posavo sul suo collo di neve,
i suoi sguardi che l’arpa dei miei nervi sfioravano,
la primavera che su noi scuoteva i suoi turiboli.

Altri occhi, pur essendo d’una donna gioiosa,
al pari dei rimorsi erano vasti e neri,
spavento delle notti, mistero delle sere.
Fra le sue belle ciglia c’era l’anima intera,

e come un gaio sguardo era vano il suo cuore.
Altri, simili al mare così dolce e cangiante,
ci smarrivano all’anima che in essi è prigioniera
come incalza l’ignoto nelle sere marine.

Solcammo, mar degli occhi, i tuoi limpidi flutti.
Gonfiava il desiderio le rattoppate vele;
delle antiche tempeste dimentichi, andavamo
sull’onda degli sguardi a scoprire altri cuori.

Tanti sguardi diversi, così simili i cuori !
Vecchi, delusi ostaggi degli occhi,
dovevamo restarcene a dormire sotto le fronde… Ma anche
sapendo tutto voi vi sareste imbarcati

per avere quegli occhi gravidi di promesse
come un mare che a sera fantastica del sole.
In inutili imprese vi siete prodigati
per giungere al paese del sogno che, vermiglio,

si lamentava d’estasi oltre le acque vere,
sotto la santa arca d’una nube, profeta
crudele. Ma è pur dolce avere per un sogno
queste piaghe, e festoso brilla il vostro ricordo.
Marcel Proust

Traduzione di Giovanni Raboni – Gallimard, 1982

ph Eleonora Mello

Marcel Proust, scrittore francese (Parigi 1871 – ivi 1922). Figlio di Adrien, prof. universitario di medicina, e di Jeanne Weil, di ricca famiglia ebrea, donna sensibile e colta alla quale restò morbosamente legato, all’età di nove anni cominciò a soffrire d’asma, malattia che lo tormentò tutta la vita. Frequentò il liceo Condorcet di Parigi (1887-89), dove strinse le prime amicizie importanti e collaborò al periodico studentesco Revue lilas; s’iscrisse poi alla facoltà di diritto, seguendo contemporaneamente corsi alla Scuola di scienze politiche e alla Sorbona, dove fu allievo di H. Bergson. Collaborò a Le Banquet, la rivista fondata (1892) da un gruppo di amici del Condorcet, alla Revue blanche e ad altri periodici e quotidiani tra cui Le Gaulois, e, dal 1903, a Le Figaro. Dal 1914 uscirono sulla Nouvelle revue française ampî estratti delle sue opere. Fin dagli anni liceali frequentò assiduamente i salotti dell’alta borghesia e dell’aristocrazia parigina, di cui avrebbe poi stigmatizzato lo snobismo, e nell’affaire Dreyfus si schierò in favore della tesi innocentista. Fu intimamente legato al musicista R. Hahn e allo scrittore R. de Montesquiou. Insieme a B. de Fénelon nel 1902 fece un viaggio in Belgio e in Olanda (l’unico altro viaggio fu quello con la madre a Venezia, nel 1900). Dopo la morte del padre (1903) e soprattutto della madre (1905) si dedicò interamente alla stesura della sua opera, in un progressivo isolamento che lo portò a tappezzare di sughero la sua stanza nell’appartamento di boulevard Hausmann dove si trasferì nel 1906, assistito negli ultimi anni dall’autista Alfredo Agostinelli e, dopo la morte di questo, dalla fedele governante Céleste Albaret. L’unico, immenso romanzo che scrisse, dopo varî tentativi, a partire dal 1909 fino all’anno della morte, s’intitola À la recherche du temps perdu e consta di sette parti intimamente legate: la prima, Du côté de chez Swann, uscì nel 1913 a spese dell’autore da Grasset, dopo che il parere negativo di A. Gide ne impedì la pubblicazione presso Gallimard; seguirono (questa volta da Gallimard) À l’ombre des jeunes filles en fleur (1918), che ottenne il premio Goncourt, Le côté de Guermantes (2 voll., 1920-21), Sodome et Gomorrhe (3 voll., 1921-22). Postume apparvero le ultime tre parti: La prisonnière (1923), Albertine disparue (1925, chiamata anche La fugitive) e Le temps retrouvé (1927). Fondata su un impianto autobiografico, l’opera, la cui struttura ciclica richiama quella della Comédie humaine di Balzac e della Tetralogia di Wagner, è un grandioso affresco della società francese all’inizio del secolo, del suo linguaggio, delle sue passioni e delle sue leggi; allo stesso tempo è la storia di una vocazione artistica che si realizza dopo una lunga esperienza di tempo “perduto”, tempo che nell’arte è possibile ritrovare, cioè rivivere nella sua verità. In contrasto con il canone dell’oggettività del realismo, la narrazione, dietro la quale è percepibile la lezione di Chateaubriand, di Nerval, di Baudelaire ma anche l’influsso degli studî della psicologia del tempo sulle “intermittenze” della memoria, si dispiega attraverso il punto di vista soggettivo di un narratore protagonista, a partire da un evento fortuito: un sapore “ritrovato” nel gustare una madeleine risveglia la memoria facendo inaspettatamente riaffiorare alla coscienza tutto un mondo dimenticato. Il racconto, che adotta la forma del monologo interiore e si sviluppa attraverso frasi lunghe, ricche di subordinate, ruota intorno a diversi poli ideologici: si va dalla critica ad ogni mito, amoroso o mondano, che tende a cristallizzarsi in idolo, alla prefigurazione di un bello in sé, a un discorso sull’omosessualità che fornisce lo spunto a una più vasta meditazione sulla condizione di vittima e di carnefice in cui precipita chiunque contragga un rapporto affettivo. Intrisa di un senso drammatico dell’esistenza, ma sorretta da un’ironia che diviene fervido umore narrativo, la Recherche trascende il clima decadente, che pure la sostanzia, per collocarsi agli apici dell’esperienza letteraria del sec. 20°. Il momento irrazionale (la memoria involontaria che nel contatto fra due sensazioni, l’una presente, l’altra passata, scopre la loro essenza comune e fa ritrovare il tempo perduto) è solo la prima tappa nel cammino verso l’arte, che si raggiunge nel completo dispendio esistenziale, di ragione oltre che di forze inconscie, poiché solo la ragione sa stabilire i nessi, creando un discorso narrativo. Tale poetica è frutto di un lungo travaglio critico che preparò lentamente la scrittura del romanzo. Dopo Les plaisirs et les jours, una raccolta di racconti che uscì nel 1896 con una prefazione di A. France, P. redasse il primo abbozzo della Recherche. Il lavoro lo occupò dal 1895 al 1899; ne venne fuori un grosso manoscritto (pubbl. post. nel 1952 col titolo Jean Santeuil; trad. it. 1953), rimasto incompiuto. Alla scoperta di quello che chiamò il suo “metodo”, P. fu avviato dai successivi studî sull’estetica di J. Ruskin, di cui tradusse The Bible of Amiens (1904), aggiungendovi un’importante introduzione, e Sesame and lilies (1906). Frattanto svolgeva un tipo di esercizio letterario al quale si era dedicato fin da ragazzo, il “pastiche”, sorta di parodia dello stile di scrittori famosi (pubblicò nel 1919 Pastiches et mélanges), e tra il 1908 e il 1909 scriveva il Contre Sainte-Beuve (post., 1954), in cui accusava il critico d’aver confuso l’io biografico e mondano degli artisti con il loro io profondo, che solo crea l’opera d’arte. Altri testi sono stati pubblicati postumi (Chronique, 1927; Textes retrouvés, 1968), incluse le numerose corrispondenze. La critica proustiana, sterminata, è assai varia: si va dai tentativi di sintesi (G. Cattaui, R. Fernandez, H. Bonnet, G. D. Painter) all’analisi di aspetti particolari, come lo stile (L. Spitzer), la morale e la filosofia (G. Bataille, M. Blanchot), la struttura del racconto (J. Rousset) o il linguaggio (R. Barthes). G. Deleuze, proponendo un’analisi semiologica del romanzo, sembra aver fornito una chiave per coglierne la natura infinitamente allusiva. Alla grande fortuna di P. hanno contribuito in misura rilevante gli studiosi italiani (G. Macchia, G. Debenedetti, G. Natoli, G. Contini). Alla prima traduzione italiana della Recherche (7 voll., 1946-51) hanno collaborato N. Ginzburg, G. Caproni, F. Fortini, ecc. Una nuova traduzione (4 voll., 1983-93), con note di A. Beretta Anguissola e D. Galateria, si deve a G. Raboni.[ Enciclopedia Treccani]

Informazioni su culturaoltre14

Rivista culturale on line creata e diretta da Maria Rosaria Teni. Abbraccia diverse prospettive in ambito culturale, occupandosi di letteratura, studi filosofici, storico-artistici, ricerche scientifiche, attualità e informazioni varie sul mondo contemporaneo. Dedica particolare attenzione alla poesia ed alla narrativa, proponendo testi, brevi saggi, dissertazioni, racconti, riflessioni, interviste e recensioni.
Questa voce è stata pubblicata in Poesia. Contrassegna il permalink.

3 risposte a “Il cielo della memoria” di Marcel Proust

  1. indicibile2021 ha detto:

    Che meraviglia questo post su Proust. Complimenti!

    Piace a 1 persona

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.