IN PROSA E IN POESIA : “Dino Campana”– a cura di Cipriano Gentilino

in-prosa-e-in-poesiaCarlo Giuseppe Campana ( Dino ), nasce a Marradi il 20 agosto 1885. Nel luglio 1914 ha pubblicato il suo unico libro di poesia e prose liriche, i “Canti Orfici”.  Nel 1918, all’età di 33 anni, Campana fu ricoverato definitivamente nel manicomio di Castel Pulci fino alla morte nel 1932. Molto si è scritto sulla sua vita, sui ricoveri in manicomio e sulle diagnosi di quel tempo che non sono sovrapponibili a quelle della attuale nosografia psichiatrica. Con un certa sicurezza si può affermare che la struttura di personalità è vicina al bipolarismo mentre la struttura del linguaggio poetico non pare compatibile con la diagnosi della antica dementia precox rapportabile alla attuale schizofrenia. Personalmente penso che sia molto consigliabile la lettura dei Canti Orfici senza preconcetti godendo della alta poesia del Campana. Una poesia che, al di là dei criticismi tecnici, affascina per la sua intensità e per la ricchezza di un linguaggio capace di avvolgere il lettore e renderlo partecipe, spesso incantato, nel mondo lirico del poeta. Questa almeno è la mia personale esperienza  ed è per questo che ne consiglio la lettura . Riporto due poesie che mi sono particolarmente piaciute: 

Giardino Autunnale

Al giardino spettrale al lauro muto
De le verdi ghirlande
A la terra autunnale
Un ultimo saluto!
A l
aride pendici
Aspre arrossate nell
estremo sole
Confusa di rumori
Rauchi grida la lontana vita:
Grida al morente sole
Che insanguina le aiole.
S
intende una fanfara
Che straziante sale: il fiume spare
Ne le arene dorate: nel silenzio
Stanno le bianche statue a capo i ponti
Volte: e le cose già non sono più.
E dal fondo silenzio come un coro
Tenero e grandioso
Sorge ed anela in alto al mio balcone:
E in aroma d
alloro,
In aroma d
alloro acre languente,
Tra le statue immortali nel tramonto
Ella m
appar, presente.

A Sibilla Aleramo, poetessa con la quale ebbe una intensa relazione istintivo-fusionale, scrive nel lasciarsi  

“Mi lasci qua nelle mani dei cani senza una parola e sai quanto ti sarei grato. Altre parole non trovo. Non ho più lagrime. Perché togliermi anche lillusione che una volta tu mi abbia amato è lultimo male che mi puoi fare”.

In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose

P.S. E così dimenticammo le rose.

Cipriano Gentilino

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