“Dante nel Lager” di Primo Levi

L’attività letteraria di Primo Levi (1919-1987) è quasi interamente dedicata a lasciare memoria degli orrori commessi dai nazisti all’interno dei campi di sterminio. Nel corso di Se questo è un uomo, la realtà infernale del lager richiama più volte all’autore quella dell’Inferno dantesco. La drammatica esperienza della sua vita di deportato nel campo di Auschwitz, ridotto a un numero tatuato indelebilmente sul braccio, spersonalizzato e trasformato in una larva umana, lo conduce inevitabilmente a uno stato di degradazione e di umiliazione infinita.  Levi si trova ridotto, suo malgrado, in una condizione di annichilimento al punto da aver smarrito il desiderio di sentirsi ancora veramente uomo. L’unica àncora di salvezza dalla involontaria condizione di prostrazione e alienazione è rappresentata dalla scrittura e dalla poesia, recuperata in un difficile ma non impossibile sforzo di memoria. L’episodio che ho voluto proporre, come introduzione al capitolo dedicato al GIORNO DELLA MEMORIA, potrebbe, a prima lettura, apparire marginale se considerato in un contesto così tragico di vicende narrate, ma io trovo che, al contrario, assuma un significato altissimo: anche nell’abiezione più disumana, proprio nei momenti più tragici, l’uomo  può trovare uno specchio della sua dignità nel messaggio della poesia, viatico di libertà, quella dello spirito che non conosce catene e impedimenti, un aiuto spirituale per trovare la forza di sopravvivere e ceracre conforto. [M.R.Teni]

Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere, quest’ora già non è piú un’ora. Se Jean è intelligente capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto. … Chi è Dante. Che cosa è la Commedia. Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il contrappasso. Virgilio è la Ragione, Beatrice è la Teologia. Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato:

Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando,
Pur come quella cui vento affatica.
Indi, la cima in qua e in là menando
Come fosse la lingua che parlasse
Mise fuori la voce, e disse : Quando…

Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere « antica». E dopo «Quando»? Il nulla. Un buco nella memoria. «Prima che sí Enea la nominasse». Altro buco. Viene a galla qualche frammento non utilizzabile: «… la piéta Del vecchio padre, né ’1 debito amore Che doveva Penelope far lieta…» sarà poi esatto?

Ma misi me per l’alto mare aperto.

 Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché « misi me » non è « je me mis », è molto piú forte e piú audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane. Siamo arrivati al Kraftwerk, dove lavora il Kommando dei posacavi. Ci dev’essere l’ingegner Levi. Eccolo, si vede solo la testa fuori della trincea. Mi fa un cenno colla mano, è un uomo in gamba, non l’ho mai visto giú di morale, non parla mai di mangiare. « Mare aperto ». «Mare aperto». So che rima con «diserto»: « … quella compagna Picciola, dalla qual non fui diserto », ma non rammento piú se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma vale la pena di fermarcisi:

.. Acciò che l’uom piú oltre non si metta.

 «Si metta» : dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, « e misi me ». Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda. Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:

Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.

Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di piú: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie ; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.

Li miei compagni fec’io sí acuti…

…e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol dire questo « acuti ». Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile. « … Lo lume era di sotto della luna » o qualcosa di simile ; ma prima ?… Nessuna idea, « keine Ahnung » come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine. – Ça ne fait rien, vas-y tout de même.

…Quando mi apparve una montagna, bruna
Per la distanza, e parvemi alta tanto
Che mai veduta non ne avevo alcuna.

Sí, sí, « alta tanto », non « molto alta », proposizione consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano… le montagne… oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino! Basta, bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda. Darei la zuppa di oggi per saper saldare « non ne avevo alcuna » col finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è silenzio. Mi danzano per il capo altri versi : « … la terra lagrimosa diede vento… » no, è un’altra cosa. È tardi, è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:

Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque,
Alla quarta levar la poppa in suso
E la prora ire in giú, come altrui piacque…

  Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda che questo «come altrui piacque», prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del edioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui …Siamo ormai nella fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle.
– Kraut und Rüben? – Kraut un Rüben – Si annuncia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape.
–  Choux  et  nevets.  – Kaposzta és répak.

Infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso.

Primo Levi

                                                                da Se questo è un uomo, ed. Einaudi

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Rivista culturale on line creata e diretta da Maria Rosaria Teni. Abbraccia diverse prospettive in ambito culturale, occupandosi di letteratura, studi filosofici, storico-artistici, ricerche scientifiche, attualità e informazioni varie sul mondo contemporaneo. Dedica particolare attenzione alla poesia ed alla narrativa, proponendo testi, brevi saggi, dissertazioni, racconti, riflessioni, interviste e recensioni.
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2 risposte a “Dante nel Lager” di Primo Levi

  1. culturaoltre14 ha detto:

    Grazie per il commento, Marcello. Attendo un tuo contributo per IL GIORNO DELLA MEMORIA!

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  2. MARCELLO MARENACI ha detto:

    “Rammentare l’onore per restare umani” Perchè ricordare? Sappiamo che se non siamo capaci di confrontarci con il proprio passato, probabilmente lo rivivremo eternamente. Una società che vuole progredire deve mantenere viva la propria coscienza lo scrittore Imre Kertesz quasi quindicenne viene deportato ad Auschwitz e come lui milioni di ragazzi, donne e uomini. Si è battuto più volte per ricordare il peso che la coscienza detiene come motore attivo contro il malvagio che a volte alberga nell’uomo. Per rendere le masse consapevoli bisogna quindi nutrire le coscienze del passato, bisogna esercitare la consapevolezza, stimolare la lettura il dialogo, la cultura. Come lo stesso scrittore ricorda: “La cultura è una coscienza privilegiata, una coscienza oggettiva e il diritto di essere oggettivi appartiene all’Uomo.

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