L’orgogliosa sicurezza dell’uomo rinascimentale, padrone e signore di un universo che ruota attorno alla sua volontò creatrice, entra in crisi nel Seicento soprattutto per le nuove scoperte scientifiche che allargano immensamente le prospettive anguste del placido naturalismo cinquecentesco. Il rovesciamento di mentalità si avverte chiaramente nei Pensieri di Pascal, percorsi da una sottile e angosciosa inquietudine interiore, che non trova appagamento in una facile religiositò formalistica, ma anzi spinge ad un approfondimento rigoristico del cristianesimo. In questo approfondimento, che si inserisce in questo spazio nella categoria della Letteratura, prevale una riflessione profondissima che è alla base delle moderne concezioni esistenzialistiche. Dinanzi alla precarietà della condizione umana, dinanzi all’infinito spazio -temporale scaturisce il confronto con la spiritualità romantica di Leopardi nell’Infinito o all’angoscia pascoliana dell’uomo pendulo nella Vertigine.
Quando considero la breve durata della mia vita, assorbita dall’eternità che la precede e da quella che la segue («memoria hospitis unius diei praetereuntis»), il piccolo spazio che occupo e che vedo, inabissato nell’infinita immensità di spazi che ignoro e che mi ignorano, mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là, perché non c’è motivo che sia qui piuttosto che là, ora piuttosto che un tempo. Chi mi ci ha messo? Per ordine e volontà di chi questo luogo e questo tempo sono stati destinati a me?
Il silenzio eterno di questi spazi infiniti mi sgomenta.
È una cosa orribile il sentir scorrere via tutto ciò che fa parte di noi.
L’uomo non è che un giunco, il più debole nella natura; ma un giunco che pensa. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo; un vapore, una goccia d’acqua bastano a ucciderlo. Ma, quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre piú nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire, e conosce la superiorità che l’universo ha su di lui; mentre l’universo non ne sa nulla.
Tutta la nostra dignità consiste , dunque, nel pensiero. In esso dobbiamo cercare la ragione di elevarci, e non nello spazio e nella durata, che non sapremmo riempire. Diamo opera dunque pensare rettamente: ecco il principio della morale.
L’uomo non è né un angelo né una bestia e disgrazia vuole che chi vorrebbe far l’angelo fa la bestia.
Blaise Pascal
dai Pensieri, tr. di V.B.Alfieri, ed. Rizzoli
Blaise Pascal, nato a Clermont nel 1623, fin dalla più tenera età si dimostra essere un genio della matematica, tant’è che a soli 16 anni compone il Saggio sulle sezioni coniche, in cui espone uno dei fondamentali teoremi della geometria proiettiva che è tuttora noto come ‘Teorema di Pascal’. A 18 anni inventa la primissima calcolatrice, conosciuta come ‘Pascalina‘. Nel 1648 dimostra sperimentalmente che il livello della colonna di mercurio in un barometro è determinato dalla crescita o dalla diminuzione della pressione atmosferica circostante, confermando l’ipotesi dello scienziato italiano Evangelista Torricelli sugli effetti esercitati dalla pressione atmosferica sull’equilibrio dei fluidi; l’unità di misura della pressione, in fisica, si chiama Pascal in suo onore. Sei anni dopo elabora anche la teoria delle probabilità, che diverrà fondamentale in campi come la statistica e nella fisica teorica moderna. Fra gli altri importanti contributi che Pascal porta alle scienze vi sono la cosiddetta ‘legge di Pascal‘, in base alla quale i fluidi esercitano la stessa pressione in tutte le direzioni, e le ricerche sul calcolo infinitesimale. Nella ricerca scientifica di Pascal la sperimentazione empirica diventa fondamentale e la concezione che emerge nelle scienze è di carattere evolutivo. Nel 1656 Pascal compone le diciotto celebri Lettere provinciali, in cui difende le dottrine gianseniste e critica la morale dei gesuiti, esponendo anche una sua interpretazione della concezione della predestinazione divina. Nel 1670 vengono pubblicati postumi i Pensieri, che sarebbero dovuti essere gli appunti preparatori per una grande opera filosofica intitolata Apologia del cristianesimo. L’apologetica pascaliana del cristianesimo si fonda su una ripresa della spiritualità di san Paolo e di sant’Agostino, ma anche su un abbandono delle procedure razionali e dei metodi dimostrativi nell’ambito della fede religiosa. Per Pascal, l’Uomo si trova in una condizione in cui si trova a essere sospeso tra due infiniti: l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo; entrambi questi limiti, come in matematica, sono impossibili da raggiungere con la conoscenza. Ciò che occorre fare, quindi, è lasciare da parte il dogmatismo della ragione, che risulta essere inutile nei confronti dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo. Non bisogna neanche però cadere nello scetticismo. La condizione umana è un’intreccio di bassezza e grandezza: l’uomo è sospeso tra il rango di “angelo” e quello di “bestia”. È continuamente ingannato dai sensi e dalla ragione; i principi politici sono relativi, così come quelli culturali e i costumi. L’uomo, per Pascal, è sempre impegnato in qualcosa per evitare di essere oppresso dalla noia e dall’impotenza, per non essere schiacciato dal nulla e dal vuoto: è sempre in movimento. Cerca di dimenticarsi della sua condizione di sospensione con il divertissement, la distrazione, il divertimento e l’oblio di sé; ma prima o poi la disperazione torna ad assalirlo. Muore a Parigi nel 1662.