“Addio postmoderno, benvenuti nell’età dell’altermoderno” di Apostolos Apostolou

L’epoca moderna che precede la contemporaneità postmoderna era caratterizzata, secondo Lyotard, dal progetto di spiegare il mondo attraverso l’applicazione di principi unitari. Come si è detto, quindi, la modernità era contraddistinta dalla fiducia di poter comprendere stabilmente il senso del mondo per mezzo di un principio unitario. Questa fiducia si traduceva in una fede nel progresso, ovvero nel credere che le possibilità di miglioramento della conoscenza umana e dei mezzi di produzione in grado di garantire il benessere fossero crescenti, in una tendenza stabile lungo l’intero corso del tempo. Nell’epoca moderna la verità esiste sul piano, non solo storico ma anche antropologico, cioè sul piano dell’Altro. Però l’«Altro» diventa una causa sociale. L’«Altro» è il nemico e anche l’amico insieme. E, come diceva J Baudrillard, l’ «Altro» è colui di cui si diventa il destino, non familiarizzandosi con lui nella differenza e nel dialogo, ma investendolo come segreto, come eternamente separato. L’ «Altro» non è mai colui col quale si comunica, è colui che si segue, è colui che ti segue.  [1]

La modernità ha bisogno un’intera realtà, un universo essenziale teologico, a-politico, a-critico, come Nietzsche, quando proclama l’«innocenza di divenire» e Heidegger, quando presenta la storia come Ereignis e Geschick, come avvento dell’essere e donazione/destinazione da esso e attraverso di esso. Bisogna farla con la rispettabilità ecclesiastica, accademica, e letteraria. Ad esempio, i grandi movimenti della modernità quali, l’illuminismo, l’idealismo e il marxismo, possedevano la pretesa di racchiudere il senso dell’intera realtà entro un principio unitario: la ragione per il primo, il movimento totalizzante dello spirito per il secondo, le leggi materialiste della realtà per il terzo. Nel moderno esiste sempre un centro cosi come voleva il centro grande, secondo «Illuminismo –Terrore», cioè, un centro (centro fondante) come era il Dio, come era li Stato, come era la Storia. La politica era una politica della grande narrazione, e la storia, esisteva una fiaba grande. Il fondamento antropologico assoluto (come umanismo, razionalità, sostanziale, ecc), e il dittatore delle situazioni dell’Uomo. Il postmoderno parla di assenza di un fondamento antropologico assoluto, pone in crisi la capacità critica della storia sociale, che si ritrova priva di riferimenti ideali cui appellarsi per opporsi all’esistente. La ripetizione storica lascia il posto ad un’immagine che non rappresenta più teatralmente l’originale, ma prende il suo posto senza tuttavia essere né esemplare, né autentica. [2]

Michel Maffesoli

Il sociologo M. Maffesoli, quando parla di postmoderno, dirà: «La moda, la cultura, la visione e la non-partecipazione politica, il sesso vagabondo ecc, sono altrettanti indizi della perdita dell’individualismo e del sociale in un confusionale societario indefinite, […] Non bisogna dedurne che si tratti di un processo di uniformazione, tutt’ altro. In un insieme organico in cui la comunità è primordiale vediamo elaborarsi un intenso gioco delle differenze in ciò che chiamare reversibilità» (M. Maffesoli, L’ombra di Dioniso, p.27). L’individuo perde ogni riferimento forte che poteva determinarne con sicurezza l’identità. Sulla spinta della tecnologia, che rappresenta sempre di più la forza trainante della contemporaneità, l’uomo assiste ad uno sfaldamento e ad un frammentarsi delle sue certezze, della sua identità, del suo tempo. La velocità con la quale la scienza moderna modifica il senso della realtà rende quasi inutile il tentativo di definirsi e di permanere da parte di un qualsiasi significato. In questo clima di crisi del significato permanente, l’uomo, come soggetto cosciente che deve darsi necessariamente un senso stabile, vive irrimediabilmente la sua stessa crisi. Il tempo postmoderno è una successione d’istanti intensi, tutti equivalenti secondo sociologo M. Maffesoli sul piano del valore o dell’utilità e in cui importante è appunto solo l’intensità, dal momento che il piacere è perseguito per sé stesso. Possiamo dire che abbiamo un immoralismo generale che si muove cosi configurando di fatto una nuova etica, in opposizione alle ideologie virtuiste, che tentavano di addomesticare il gioco della passione.

Con il postmoderno nella lotta contro l’alienazione naturale (la morte, la sofferenza, la malattia ecc) l’alienazione è diventata sociale. L’uomo cadeva nelle rovine della sua realtà. I desideri e i sogni lavoravano per il marketing, e la vita quotidiana era una serie di momenti interscambiabili come i gadget. E l’arte, in quest’economia dei momenti vissuti, è stata assorbita del mercato degli affari. Con postmoderno l’incapacità di fondare la propria vita sulla sovranità si tenta di fondare la propria sovranità sulla vita degli altri. E cosi quando non è accettata la disperazione tende il più delle volte a rendersi impercettibile. Non c’è di comunitario che l’illusione di essere insieme. Oggi siamo all’inizio dell’altrermoderno. E l’altermoderno va al di la della storia feticizzata.

La postmodernità è caratterizzata invece dalla caduta di queste pretese e dal conseguente sfaldamento delle certezze stabili che possono indicare all’uomo un qualsiasi sentiero definitivo. Il postmodernismo è un’offensiva non soltanto all’interpretazione dominante, ma anche al dibattito sociale imperante. Il postmodernismo mirava a qualcosa di più che pretendere semplicemente una rivalutazione delle strutture del potere. «Affermava che noi tutti come esseri umani altro non siamo che aggregati di quelle strutture. Sosteneva che non possiamo prendere le distanze dalle richieste e dalle identità che tali discorsi ci presentano […] Il postmodernismo, invece, afferma che ci muoviamo attraverso una serie di coordinate su vari fronti – classe sociale, genere, sesso, etnia – e che queste coordinate di fatto costituiscono la nostra unica identità.» (Dall’articolo “Addio Postmoderno”, Repubblica, 3-9-2011. Traduzione Anna Bissanti, dalla rivista, Prospect Magazine New, York Time) La struttura della società, della cultura, della politica, prende una forma di egalitarismo. (Egalitarismo è la parola “magica” per gli intellettuali che accettano una società, multi, culti, fans! L’egualitarismo è una teoria morale che pone in risalto l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. Questo tipo di teorie sostengono che l’uguaglianza dei diritti e delle opportunità in ambito politico, economico, sociale e civile deve sempre prevalere in tutti gli aspetti della civile convivenza delle società umane. Un primo approccio per cercare di comprendere le differenze fra i diversi tipi di egualitarismo è porsi la domanda: ” chi e rispetto a cosa è ritenuto uguale?”).

L’individuo perde ogni riferimento forte che poteva determinarne con sicurezza l’identità. Sulla spinta della tecnologia, che rappresenta sempre di più la forza trainante della contemporaneità, l’uomo assiste ad uno sfaldamento e a un frammentarsi delle sue certezze, della sua identità, del suo tempo. La velocità con la quale la scienza moderna modifica il senso della realtà rende quasi inutile il tentativo di definirsi e di permanere da parte di un qualsiasi significato. In questo clima di crisi del significato permanente, l’uomo, come soggetto cosciente che deve darsi necessariamente un senso stabile, vive irrimediabilmente la sua stessa crisi. Il tempo postmoderno è una successione d’istanti intensi, tutti equivalenti secondo sociologo M. Maffesoli sul piano del valore o dell’utilità e in cui importante è appunto solo l’intensità, dal momento che il piacere è perseguito per sé stesso. Possiamo dire che abbiamo un immoralismo generale che si muove cosi configurando di fatto una nuova etica, in opposizione alle ideologie virtuiste, che tentavano di addomesticare il gioco della passione.

Dal 24 settembre 2011, possiamo ufficialmente parlare del morto di postmoderno. Perché in quella data al Victoria and Albert Museum si è inaugurato quella che viene definita la “prima retrospettiva globale” al mondo intitolata: Postmoderno – Stile e sovversione 1970 – 1990. Se il problema per i postmodernisti è stato che i modernisti avevano detto loro che cosa fare, allora il problema dell’attuale generazione è esattamente il contrario: nessuno ci sta dicendo che cosa fare. Idee, valori, autenticità, sono in aperto conflitto con il postmodernismo.

Riccardo Campa (“Dal postmoderno al postumano: il caso Lyotard”) sostiene che Lyotard passa al postumano con “un’utopia moderna e rischia di disorientare i conoscitori e gli estimatori del suo pensiero, rischia di fare apparire contraddittorio l’intero impianto del suo pensiero. Ritiene allora necessario spiegare i motivi per cui la favola è ancora postmoderna: «In primo luogo è una storia fisica, che concerne solo l’energia e la materia come stadio dell’energia. L’uomo è considerato come un sistema materiale completo, la coscienza come un effetto del linguaggio e il linguaggio come un sistema materiale molto completo. In secondo luogo il tempo posto in gioco in questa storia è solo diacronico. La successione è ritagliata su unità di orologeria arbitrariamente definite a partire dai movimenti fisici supposti come uniformi e regolari. Questo tempo è una temporalità di coscienza che esige che il passato ed il futuro, in sua assenza, siano considerati in tutti i modi come presenti allo stesso tempo del presente. In terzo luogo, questa storia non è orientata in alcun modo all’emancipazione. In quarto luogo il futuro (…) non costituisce l’oggetto di una speranza. La speranza è quella di un soggetto della storia che si promette o al quale è stato promesso una perfezione finale. La favola postmoderna narra un’altra cosa, completamente distinta. (…) Senza ragione alcuna gli Umani si credono di essere il motore dello sviluppo e lo confondono con il progresso della coscienza e della civilizzazione essendo suoi prodotti (…) incluso le critiche che essi possono opporre allo sviluppo, alle sue diseguaglianze, irregolarità, fatalità, inumanità”. La fine della storia e la fine della metafisica, come sostiene il postmoderno, guida al potere che diventa infine l’orizzonte unico della vita.
Così migliorare il mondo significa far violenza ed esercitare un potere sul mondo e il postmoderno, come diceva anche J. Lacan, è un pensiero che tende a considerare errore la certezza, ingannevole il ritenere di aver compresso. [3]

 

Nel postmoderno ogni valore è sinonimo di qualità, per esempio un libro, un film, un quadro, una canzone, sono di valore se sono di massa, se hanno venduto, se hanno avuto più fruitori. La nostra postmodernità sostituisce i modelli forti, crudeli, marziali con quelli della carnevalizzazione di tutti. Esiste una derealizzazione che è resa possibile dalle nuove tecnologie della comunicazione. Nella politica, secondo il pensiero postmoderno, i cittadini diventano pubblico spettatori e i paesi diventano organizzazioni senza scopo di lucro e la democrazia è una democrazia ibrida. I simboli politici sono diffusi come slogan di calcio e provengono dai regimi totalitari. Claude Levi-Strauss scriveva che nulla assomiglia al pensiero mitico più dell’ ideologia politica. Nella società odierna la politica ha in certo modo solo sostituito quello. (Vedi: Claude Levi-Strauss, Anthropologie structurale, Plon, Parigi 1958, p, 221).

Nicolas Bourriad

Però se il modernismo era un internazionalismo che ha voluto unificare e standardizzare i codici di espressione e il postmodernismo, in un certo senso è stata la scia del modernismo, la nuova convenzione, che prende il nome altermodernismo, (il primo che ha parlato di altermoderno era Nicolas Bourriaud) non è un concetto che si pone rispetto al postmoderno, non è il dopo del dopo del moderno, ma una cosa totalmente diversa. Quel che oggi chiamiamo altermoderno è il desiderio che ha qualcuno di agire in modo alternativo. L’altermoderno definito come quello che toglie la nostalgia di essere moderni cioè programmatici, ma anche come quello che rimuove il principio dell’incertezza di postmoderno; alter moderno considera che l’arte (anche la filosofia) è l’insinuazione che coesiste in quel che non si può esprimere. Moderno, postmoderno, altermoderno, teorie o miti. Però la questione che si pone è rispondere simultaneamente alla corrente sotterranea che si muove all’orizzonte degli orizzonti lontani che ci procura le sue luci. È quello che dice Nietzsche, in una pagina della Gaia Scienza: “Continuare a sognare sapendo di sognare”.

Apostolos Apostolou
Docente di filosofia.

Note:
[1] Jean Baudrillard. La Transparence du Mal. Editions Galilée. 1990 p, 174
[2] Mario Perniola La società dei simulacri Rivista Agalma volume 20-21, p,28
[3] Jean Lacan Le Séminaire livre III, Psychoses, du Seul, Paris, 1981, p, 67.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Rivista culturale on line creata e diretta da Maria Rosaria Teni. Abbraccia diverse prospettive in ambito culturale, occupandosi di letteratura, studi filosofici, storico-artistici, ricerche scientifiche, attualità e informazioni varie sul mondo contemporaneo. Dedica particolare attenzione alla poesia ed alla narrativa, proponendo testi, brevi saggi, dissertazioni, racconti, riflessioni, interviste e recensioni.
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